Antonella Migliorini e Paolo Mainardi
1982: Baccaiano
- Data: Sabato, 19 Giugno 1982
- Orario: Con ottima precisione immediatamente dopo le 23.40
- Luogo: Baccaiano di Montespertoli, lungo via Virginio Nuova
- Vittime: Paolo Mainardi, 22 anni; Antonella Migliorini, 19 anni
- Automobile: Fiat 147 celeste targata FI A90112
- Fase Lunare: Due giorni prima del Novilunio (età lunare -2gg). Illuminazione al 5%. Il 19 giugno a Firenze la luna è tramontata alle ore 18:38 per poi sorgere il giorno successivo (20 giugno) alle ore 4:38.
Antefatto
Siamo nel giugno del 1982, nel pieno dei vittoriosi mondiali di Spagna. Erano in corso i gironi eliminatori. Le partite previste per le 21.00 di quella sera non erano di prima fascia.
Paolo Mainardi, di professione meccanico, e Antonella Migliorini, cucitrice presso una ditta di confezioni di abiti, cenarono a casa della mamma di Paolo. Al termine raggiunsero alcuni amici presso la piazza del Popolo, a Montespertoli. Verso le ore 22.30 si allontanarono a bordo della Fiat 147 celeste di Paolo in cerca di un po' d'intimità. Si fermarono in una piazzola lungo via Virginio Nuova, una strada a modesto transito che collega i paesi di Baccaiano e Fornacette.
La piazzola, che altri non era che un piccolo slargo al fianco della strada, era coperta su tre lati da vegetazione; l'automobile era posizionata perpendicolarmente rispetto all'asse stradale, con il muso rivolto verso i campi e verso il torrente Virginio. A circa un chilometro di distanza dalla piazzola, verso nord, c'è Baccaiano; a circa 500 metri, verso sud, c'è il bivio per Poppiano. Questi riferimenti sono importanti per determinare una corretta dinamica dell'evento omicidiario.
Attorno alle ore 23.40, l'automobile di Paolo venne vista nella piazzola dagli occupanti di una vettura che procedeva da Baccaiano verso Fornacette. Tale vettura era una Matra-Simca Rancho, un piccolo fuoristrada, al cui interno vi era un amico dello stesso Mainardi, Francesco Carletti, che stava facendo scuola guida a due ragazze. Il Carletti riferì che l'automobile del Mainardi, posizionata sulla destra rispetto al suo senso di marcia, aveva la luce interna accesa e i finestrini appannati. L'idea più diffusa, nonché la versione ufficiale dell'omicidio, ritiene che in quel momento la giovane coppia avesse terminato il rapporto sessuale e mentre la ragazza sul sedile posteriore si stava rivestendo, il ragazzo era al posto di guida, pronto a partire.
L'automobile con a bordo il Carletti proseguì dritto e un centinaio di metri dopo il bivio per Poppiano (dunque complessivamente 600/700 metri dopo la piazzola, ma vedremo nel prossimo capitolo che non tutti concordano con questa distanza) incrociò un'automobile con a bordo due amici, Adriano Poggiarelli e Stefano Calamandrei, che transitavano lungo la via Virginio Nuova in direzione opposta, quindi verso Baccaiano.
Un minuto, un minuto e mezzo dopo (il tempo di percorrere ad andatura ridotta quei 600/700 metri), l'automobile del Poggiarelli e del Calamandrei, una 128 bordeaux, passò davanti alla piazzola dove due o tre minuti prima l'auto del Mainardi era stata vista dal Carletti. Ma questa volta la scena era radicalmente cambiata. L'automobile del Mainardi era sull'altro lato della strada, precisamente sulla destra per chi procedeva verso Baccaiano, a fari spenti, con le ruote posteriori infossate in una cunetta e quelle anteriori sulla banchina, in posizione quasi obliqua. Ai due ignari ragazzi sembrò un normale incidente stradale, in realtà il duplice omicidio era appena avvenuto (o secondo alcune teorie era addirittura ancora in corso).
Poggiarelli e Calamandrei tirarono dritto fino a Baccaiano, distante - come detto - all'incirca un chilometro dalla piazzola. Trovarono il bar verso cui erano diretti, ormai chiuso. Senza neanche fermarsi, come mossi da uno scrupolo, decisero quindi di tornare indietro a controllare la macchina presumibilmente incidentata. Facendo un semplice calcolo e considerando ancora una volta una velocità moderata, trascorsero cinque minuti o poco più fra il primo passaggio del Calamandrei e del Poggiarelli dinanzi alla vettura di Paolo e il loro ritorno sul luogo del delitto. Quasi contemporaneamente, si fermò anche un'altra automobile, una Autobianchi A112 con a bordo una coppia di fidanzati, Concetta Bartalesi e Graziano Marini, i quali riferirono di aver udito dei colpi (forse di pistola) pochi minuti prima, mentre erano fermi in una piazzola poco distante.
Scena del crimine
All'interno della macchina "incidentata" c'erano i corpi dei due giovani. La Migliorini era seduta dietro ed era già morta. Il Mainardi invece respirava ancora, ma qui sorge il primo grosso problema della vicenda perché non si sa bene dove fosse seduto, se avanti o dietro.
Ci sono infatti testimonianze discordanti in merito: i quattro giovani, giunti per primi sul luogo del delitto, riferirono che il ragazzo era seduto davanti e su questo sembra non esserci alcun dubbio, sia perché furono tutti concordi nell'affermarlo, sia perché furono loro a notare che Paolo respirava ancora e risulta difficile credere che avessero scorto il respiro (più o meno flebile) del Mainardi, ma non si fossero resi conto di dove fosse seduto.
Poi arriveranno i soccorritori che invece dichiareranno che Paolo era sul sedile posteriore. E anche di queste testimonianze difficilmente si può dubitare, considerando che furono coloro che armeggiarono a lungo con il corpo di Paolo e lo estrassero ancora vivo dall'automobile; insomma, anche in questo caso risulta davvero difficile credere che non si resero conto di dove fosse seduto.
Si badi bene che questa delle differenti dichiarazioni risulta una diatriba dapprima giudiziaria, in seguito mostrologica, piuttosto importante per comprendere la dinamica del delitto e per capire chi spostò l'automobile del Mainardi da un lato all'altro della strada (forse il mostro stesso? ndr).
Frattanto giunse sul luogo del delitto anche l'ambulanza. A guidarla era tale Lorenzo Allegranti, il quale durante il Processo ai CdM asserì categoricamente che il Mainardi era seduto dietro, ma nello stesso processo si apprese che Allegranti non sarebbe mai entrato nella macchina "incidentata", essendo rimasto nei pressi dell'ambulanza per preparare la barella. A entrare nella macchina erano stati invece i barellieri, all'epoca tutti minorenni e alla prima esperienza assoluta in un'operazione di soccorso. I loro nomi erano: Silvano Gargalini, Marco Martini e Paolo Ciampi. Anche i barellieri riferirono durante il Processo ai CdM che il Mainardi era seduto dietro, ma il Pubblico Ministero Paolo Canessa fece notare come invece in sede di verbale, la notte stessa dell'omicidio, le loro dichiarazioni fossero state differenti (avevano cioè riferito che il Mainardi era seduto davanti).
Anche su questo punto non c'è omogeneità di vedute fra i mostrologi: c'è chi ritiene che i barellieri in sede processuale avessero voluto allinearsi alle dichiarazioni rese dall'Allegranti (ma sinceramente non se ne capisce il motivo), c'è invece chi ritiene che la notte del duplice omicidio sui giovanissimi barellieri fossero state esercitate pressioni dalle forze dell'ordine affinché non dessero versioni contrastanti e di conseguenza problematiche rispetto ai ragazzi che per primi erano intervenuti sulla scena del crimine e avevano visto il Mainardi seduto davanti. È lo stesso barelliere Martini a indurre a pensare che questa seconda possibilità sia più corretta, quando sempre al Processo ai CdM, per spiegare la discrepanza di versioni, dichiarò: "...dopo circa tre ore, tre ore e mezzo di interrogatorio, alla fine, a Montespertoli, dissi: fatemi firmare... scrivete quello che vi pare e fatemi firmare quello che vi pare..."
Mettendo per il momento da parte le divergenze nelle varie dichiarazioni e le eventuali pressioni esercitate sui testimoni la notte dell'omicidio, soffermiamoci sui dati oggettivi che sono stati rilevati sulla scena del crimine, importanti al fine di valutare nel prossimo capitolo le teorie sulla dinamica del delitto.
Paolo Mainardi era stato attinto da quattro colpi di arma da fuoco, mentre Antonella Migliorini da due colpi d'arma da fuoco. La ragazza presentava anche una ferita lacero contusa al naso con relativa frattura delle ossa nasali, ma non vi erano evidenze che tale ferita potesse essere ricondotta a un colpo d'arma da fuoco. Non era stata adoperata arma bianca, dunque l'assassino non aveva né infierito sui cadaveri, né praticato le orribili escissioni.
In totale vennero repertati sulla scena del crimine 9 bossoli, tutti quelli che erano stati sparati dall'assassino. Era la prima volta che venivano recuperati tutti i bossoli esplosi; succederà in seguito soltanto a Scopeti. Quattro di questi bossoli furono rinvenuti nella piazzola dove la vettura sostava originariamente, dunque dove l'agguato aveva con ogni probabilità avuto inizio. Altri quattro bossoli erano disseminati sul manto stradale, uno quasi al centro della carreggiata, tre verso la cunetta dove si era infossata la vettura del Mainardi. Un ultimo bossolo, come vedremo, fu rinvenuto all'interno dell'automobile sul tappetino posteriore destro. Al centro della carreggiata pare fosse presente sull'asfalto anche una macchia di sangue. Usiamo il verbo dubitativo perché di questa macchia non vi è traccia nei rapporti ufficiali ma venne documentata fotograficamente da alcuni giornalisti giunti sulla piazzola del delitto.
L'automobile "incidentata" aveva le gemme dei fari anteriori rotti da due colpi di pistola, il finestrino sinistro completamente infranto, la portiera sinistra che una certa vulgata riporta essere stata bloccata ma che probabilmente non lo era, mentre la portiera destra aveva la chiusura inserita dall'interno.
Sul sedile posteriore venne rinvenuto l'orologio di Antonella con il cinturino privo di una delle due maglie di giunzione. La maglia mancante venne trovata dai medici in ospedale tra i capelli di Paolo ed era - stando alle parole del dottor De Fazio - "arcuata e deformata".
Inoltre, particolari molto importanti per chiarire la dinamica degli eventi sono il freno a mano parzialmente tirato, la retromarcia inserita, il sedile del posto di guida copiosamente imbrattato di sangue. Infine, le chiavi dell'automobile non erano nel quadro, bensì furono ritrovate nell'erba oltre la cunetta, un po' distanti dalla macchina.
Da quest'ultimo particolare e dal bossolo rinvenuto all'interno della vettura emerge chiaramente come il MdF avesse avuto accesso all'interno dell'automobile, magari anche solo con un braccio attraverso il finestrino sinistro infranto. E nelle ricostruzioni non si può prescindere da questo dato.
Dopo il delitto
Il Mainardi fu estratto ancora vivo dalla macchina e portato d'urgenza all'ospedale di Empoli. Basandosi su questo, il Sostituto Procuratore, dottoressa Silvia Della Monica, decise di tendere una trappola al MdF. Chiese ai giornalisti di pubblicare una notizia falsa, secondo cui la vittima maschile avrebbe rivelato dettagli importanti per l'identificazione del killer. Nonostante il Mainardi morì la mattina seguente senza aver mai ripreso conoscenza, i giornali scrissero infatti che il ragazzo aveva parlato prima di spirare. Quella stessa mattina arrivò una telefonata al Pronto Soccorso di Empoli in cui un anonimo interlocutore chiese notizie delle condizioni del Mainardi. Ovviamente non è dato sapere chi fu l'autore di questa telefonata, se un giornalista in cerca di informazioni, un semplice curioso oppure l'autore del delitto stesso, preoccupato dalla piega degli eventi.
Sempre in tema di telefonate, alle 20.00 di martedì 23 giugno, 4 giorni dopo il delitto, l'autista di ambulanze Lorenzo Allegranti ricevette la prima di una lunga serie di telefonate (a volte gentili, a volte astiose, tutte della stessa persona), nella quale venne invitato dal suo interlocutore, identificatosi come un magistrato, a riferire ciò che aveva dichiarato il Mainardi. L'autista si rifiutò di rilasciare dichiarazioni telefoniche, così nelle telefonate successive i toni cambiarono. In una di queste, l'interlocutore disse: "Allegranti, se lei parla è un uomo morto. Farò una strage. Si ricordi, il mostro colpirà ancora".
Queste telefonate durarono a lungo, l'ultima arrivò addirittura nel 1984 (in prossimità del delitto Stefanacci-Rontini) quando Allegranti era in vacanza a Rimini. L'Allegranti non ebbe mai il telefono sotto controllo e l'autore non fu mai rintracciato.
Su queste telefonate (un po' come per tutte le cose che riguardano il MdF) ci sono pareri contrastanti: Nino Filastò ritiene fossero opera del Mostro; la Procura di Firenze (come emerse per bocca del PM Paolo Canessa durante il Processo ai CdM) le ritiene frutto di uno scherzo ai danni del povero autista.
Effettivamente sembra strano che il MdF abbia potuto perseguitare così a lungo l'Allegranti, anche quando era ormai evidente che il Mainardi non aveva parlato. Così come sembra strano che il MdF abbia potuto prorompere in una frase del tipo "farò una strage" o conoscesse così bene gli spostamenti dell'Allegranti, tanto da contattarlo nella pensione di Rimini dove alloggiava nell'estate del 1984. Oltretutto se qualcuno doveva essere contattato per avere notizie sulle rivelazioni di Mainardi, questi dovevano essere i giovani barellieri dell'ambulanza e non l'autista che sedeva davanti al posto di guida e lontano dalla vittima. Tali barellieri erano per giunta giovanissimi e decisamente più impressionabili e suggestionabili di un uomo maturo, quindi più propensi eventualmente a parlare. Insomma, almeno su questo punto, la tesi della Procura sembra tuttora la più probabile.
Avvistamenti e segnalazioni
Dal rapporto del colonnello Nunziato Torrisi, stilato nel 1986 e che rappresenta ancora oggi il più grande testo d'accusa nei confronti di Salvatore Vinci, risulta che il 6 gennaio 1983 due testimoni, Bruno Manetti e Carlo Alberto Falteri, riferirono agli inquirenti di aver incrociato la sera dell'omicidio di Baccaiano un uomo sospetto avente una statura di 165/170 centimetri circa, dai capelli scuri, con pantaloni chiari e con maglietta fino al petto chiara e nella parte superiore a strisce scure.
Più precisamente è riportato quanto segue: "...nel percorrere a bordo di una motovespa la strada provinciale, proveniente da Montespertoli in direzione di Baccaiano, all'uscita di una curva ad ampio raggio, a circa un centinaio di metri dal posto del delitto, si sono trovati improvvisamente davanti ad un uomo sulla strada, sopra descritto, il quale, al suono del clacson della vespa, nello spostarsi per paura, ad un tratto è scivolato nella cunetta laterale della strada. Anche qui, può sembrare una semplice coincidenza, se fosse la sola, che la persona indicata ha le medesime caratteristiche fisiche del VINCI Salvatore, il quale, all'epoca, secondo la descrizione della Pierini Ada dovrebbe essere in possesso di una maglietta a fondo rosso mattone scuro, con delle strisce chiare sul davanti di color beige-nocciola."
A questo delitto risale la testimonianza di tale Luciano Calonaci, resa in un'udienza del Processo ai CdM, che tenderebbe a puntare il dito verso un misterioso poliziotto o più in generale un uomo in divisa. Portato da Filastò come teste, Calonaci affermò che il giorno dell'omicidio di Baccaiano attorno alle 21.30 aveva visto davanti casa sua, a Cerbaia, una macchina della polizia procedere molto lentamente come in ispezione. Dentro la macchina c'era un uomo solo che si guardava attorno. La descrizione di questo "poliziotto" è simile alla descrizione fatta da altri testimoni del MdF (capelli biondi, corti, tagliati a spazzola). Secondo Calonaci, quando questa persona si accorse di essere ben illuminata dalle luci della festa e osservata, cercò di nascondersi o quanto meno di pararsi il volto.
In realtà durante il controinterrogatorio del PM Paolo Canessa emersero alcune contraddizioni in questa testimonianza:
▪ Quando Calonaci, il 10 Settembre 1985 (3 anni dopo l'omicidio di Baccaiano), andò a denunciare questo fatto, dichiarò di aver visto la macchina e il poliziotto il giorno prima dell'omicidio e non lo stesso giorno;
▪ La distanza fra luogo di questa individuazione e luogo del delitto era di circa 7 km, non proprio vicinissimi;
▪ Calonaci non era neanche certissimo che quella da lui vista fosse una macchina della polizia.
Tutto sommato quindi, questa potrebbe essere una testimonianza che lascia il tempo che trova.
Particolarità di Baccaiano
I proiettili usati per questo delitto furono Winchester a piombo nudo così come a Mosciano e Calenzano, ma diversi da Rabatta e da Signa, con impresso sul fondello la lettera H. Provenivano dagli stessi lotti prodotti attorno al 1966. La pistola che sparò era ovviamente sempre la stessa.
Dalle testimonianze raccolte fra parenti e amici della coppia, risulta che Paolo e Antonella fossero estremamente legati, innamoratissimi e quasi inseparabili, tanto da venir chiamati Vinavil. Dalle stesse testimonianze emerse che Antonella era rimasta fortemente impressionata dagli omicidi commessi dal MdF; per questo i due giovani evitavano per quanto possibile di appartarsi in automobile oppure sceglievano posti non eccessivamente isolati, poco adatti a un assalto del killer, come appunto la piazzola sul bordo di via Virginio Nuova.
Secondo la testimonianza al Processo Pacciani di tale Pancrazio Matteuzzi, amico ed ex collega del Mainardi, alcuni mesi prima del delitto la coppia era stata molestata da un guardone che aveva come particolare connotazione fisica l'essere claudicante.
Stando a quanto dichiarò sempre al Processo Pacciani l'ispettore di polizia e dirigente della SAM, Riccardo Lamperi, era stata svolta un'indagine su tale guardone, il quale era stato successivamente identificato ma poi giudicato estraneo ai fatti.
Il giorno del delitto, in una paese vicino, Cerbaia, ricorreva la festa patronale. Questo particolare rese la via Virginio Nuova, teatro dell'omicidio, abbastanza trafficata nelle ore serali.
La scelta di un luogo piuttosto esposto per commettere l'omicidio può indicare 4 cose:
1. estrema sicurezza nei propri mezzi da parte del MdF;
2. difficoltà a trovare coppie appartate in quel periodo;
3. volontà di uccidere proprio quella coppia e quindi approfittare dell'unico momento disponibile per compiere il duplice delitto;
4. errata valutazione delle difficoltà da parte del MdF, che avrebbe dovuto necessariamente poi spostare il corpo di Antonella in un posto più appartato per procedere con l'escissione: quanto meno oltre la vegetazione che su tre lati circondava l'automobile.
Qualunque sia la risposta, la scelta del luogo è stata estremamente audace.
Come detto, la coppia aveva verosimilmente già consumato il rapporto sessuale quando ebbe inizio l'azione omicidiaria. Questa è indubbiamente un'anomalia nel modus operandi del MdF e potrebbe far pensare a un impulso improvviso e non programmato dell'assassino. Che il rapporto fosse stato già consumato è stato desunto in parte dai finestrini appannati notati dal predetto Carletti, in parte da un preservativo usato e annodato che venne rinvenuto sul tappetino posteriore della macchina. Va tuttavia precisato che quel preservativo non venne mai analizzato, dunque non fu possibile stabilire con certezza a quando risaliva. Risulta tuttavia difficile credere che due ragazzi lasciassero un preservativo usato per più giorni all'interno della vettura che regolarmente usavano. Oltretutto Paolo era meccanico e quindi si suppone molto attento alla cura e alla pulizia della propria automobile.
Come abbiamo visto, durante l'azione delittuosa furono sparati nove colpi d'arma da fuoco: sette attinsero la giovane coppia, due andarono a colpire i fari dell'automobile. Per la prima volta furono recuperati tutti i bossoli.
Questo è il numero di colpi più alto sparato dal MdF durante uno dei suoi delitti. Considerando che anche a Scopeti furono sparati nove colpi e considerando le dinamiche particolari di questi due delitti, la maggior parte dei mostrologi ritiene che la pistola del MdF contenesse appunto al massimo nove colpi, otto nel caricatore e uno in canna.
Si è sparsa la voce in svariati ambienti mostrologici che esisterebbero altri due testimoni del delitto. Questi sarebbero due ragazzi che attraversavano via Virginio Nuova su un ciclomotore e che passarono davanti all'automobile incidentata del Mainardi qualche secondo dopo l'assalto del killer. I ragazzi notarono al posto di guida un uomo che tentava di nascondere il proprio volto poggiandolo sul volante, come fosse gravemente ferito. Risulta facile intuire che tale persona sarebbe stata il killer, il quale stava cercando di spostare l'automobile incidentata dal fosso.
In realtà, non esiste alcun verbale che attesti la presenza di questi due testimoni. Chi sostiene la loro esistenza, giustifica la mancanza di un verbale con il fatto che i due ragazzi fossero minorenni, dunque avrebbero testimoniato oralmente e sarebbero stati lasciati andare; altri - più saggiamente - sostengono che i giovani non si presentarono mai a testimoniare ma parlarono semplicemente in paese di ciò che avevano visto, lasciando così che si spargesse la voce.
Risulta quanto meno ostico farsi andare bene queste spiegazioni, in ogni caso non essendoci prova documentale che attesti la reale esistenza dei giovani testimoni, al momento tale episodio in questi scritti viene derubricato a una delle tante leggende metropolitane che si sono sedimentate nel corso degli anni e che purtroppo ancora oggi alimentano la vasta storia del MdF.
Il giorno dopo il duplice omicidio, verso le 11 del mattino, venne ritrovata sul luogo del delitto una bustina di un farmaco, il Norzetam, usato contro il deterioramento cognitivo di grado lieve nelle persone anziane. Si dice che Francesco Vinci facesse uso di questo medicinale. Tuttavia i tempi e i modi con cui questo farmaco venne rinvenuto, non escludono affatto che possa essere stato lasciato da qualsiasi altra persona capitata successivamente sul luogo del delitto.
Secondo una relazione di servizio del brigadiere Salvatore Oggianu del comando di Montespertoli che raccolse le dichiarazioni di Vitalia Melis, moglie di Francesco Vinci, esisteva una discreta probabilità che la vittima femminile del duplice delitto di Baccaiano, Antonella Migliorini, conoscesse lo stesso Francesco Vinci. Nel periodo del delitto, infatti, il Vinci lavorava a Montespertoli, effettuando riparazioni nella casa del genero, il quale a sua volta risultava imparentato appunto con la Migliorini.
Si noti che Francesco Vinci si trovava a bazzicare per un motivo o per l'altro i dintorni dei luoghi di tre dei quattro duplici omicidi commessi fino a quel momento dal MdF.
Dopo questo delitto prese sempre più corpo la voce secondo cui il killer fosse un chirurgo che usava il bisturi per asportare il pube delle donne. Si cominciò a parlare fra la stampa e la popolazione del cosiddetto Chirurgo della Morte, probabilmente un ginecologo. Su qualcuno di questi si concentrava anche qualche flebile sospetto degli inquirenti.
La notte stessa del delitto, infatti, le forze dell'ordine si recarono a casa di un dottore da tempo sotto osservazione per controllarne l'alibi. Il dottore non aprì la porta anche se poi in un lungo interrogatorio successivo, sostenne di essere sempre stato in casa quella notte e di non aver sentito il campanello a causa dei sonniferi che regolarmente prendeva per dormire.
Sebbene non vi siano certezze in merito, è probabile si trattasse del ginecologo di cui sospettava pubblicamente il giornalista Mario Spezi e di cui abbiamo già parlato a proposito del delitto di Mosciano: il famoso Dottor B., che viveva solo con l'anziana mamma.
Meno probabile che l'abitazione ispezionata fosse quella sita in Mercatale Val di Pesa di un altro noto ginecologo, sicuramente attenzionato dalle forze dell'ordine e identificato nella vulgata popolare come implicato nei delitti del mostro. Tale ginecologo, di cui avremo ampiamente modo di parlare in seguito, tuttavia per quel che ci risulta, all'epoca del delitto di Baccaiano non era ancora entrato nel mirino degli inquirenti.
A proposito di medici, o presunti tali, sottoposti a controlli dopo il delitto di Baccaiano, non si può non citare l'enigmatico dottor Carlo Santangelo, all'epoca trentaseienne perito chimico fiorentino, senza fissa dimora, che amava spacciarsi per medico legale all'ospedale Careggi di Firenze. Il Santangelo era figura inquietante ed estremamente misteriosa. L'uomo era rientrato fra i sospettati subito dopo il delitto di Travalle e su di lui, all'indomani del duplice omicidio di Baccaiano, venne richiesto al Nucleo Operativo dei Carabinieri di Firenze di eseguire "accertamenti particolarmente approfonditi, essendoci fortissimi sospetti".
Il Santangelo, inizialmente irrintracciabile, si presentò spontaneamente presso i carabinieri di Firenze la sera del 22 giugno 1982 per rendere testimonianza dei suoi movimenti in occasione del delitto di tre giorni prima. La sua deposizione venne raccolta dal maresciallo Salvatore Congiu. In essa risulta che la sera del delitto il misterioso figuro si trovava in un albergo di Poggibonsi in provincia di Siena. Le testimonianze dei proprietati dell'hotel sembrarono confermare l'alibi fornito. Più in generale, pur rimanendo a lungo fra i principali sospettati per i delitti del Mostro, gli alibi del Santangelo in occasione dei duplici omicidi furono giudicati attendibili.
Si dice che la sera dell'omicidio, un noto magistrato era impegnato in una partita a carte (alcuni dicono a cena) a casa di amici, proprio nei pressi di Baccaiano e dunque molto vicino al luogo dell'omicidio. Tale magistrato con ogni probabilità è stato identificato in Pier Luigi Vigna, colui che potremmo definire il più grande nemico del MdF. Per molti mostrologi, questa fu la prima vera sfida che il killer lanciò alle forze dell'ordine.
Si dice inoltre che poco dopo l'omicidio, la linea telefonica della zona di Baccaiano ebbe un improvviso guasto, interrompendo qualsiasi possibile comunicazione. Su questo punto però non vi è un particolare riscontro documentale in merito.
A proposito di linee telefoniche, poco dopo la mezzanotte del 1 luglio 1982 (esattamente dodici giorni dopo il duplice omicidio), arrivò una telefonata a casa di Paolo Mainardi. Tale telefonata fu presa da Tullio Mainardi, lo zio di Paolo; in essa una voce anonima dichiarò semplicemente "il mostro ha colpito ancora". Stando al verbale reso il 9 luglio 1982 dallo stesso Tullio ai carabinieri di Montespertoli: "la voce udita al telefono era fioca, parlava con calma, senza apparenti infrazioni dialettali e direi che presumibilmente si trattava di una voce maschile.".
L'uomo inoltre affermò che né prima né dopo erano giunte altre telefonate del tipo di quella testé detta.
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