Il Delitto della Cattolica
Il Delitto della Cattolica: Simonetta Ferrero
- Classificazione: Vittima
- Caratteristiche: Laureata alla Cattolica
- Metodo dell’omicidio: Uccisa con 33 coltellate
- Luogo: Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
- Autore: Sconosciuto
Il delitto della Cattolica è un fatto di cronaca nera avvenuto in Italia il 24 luglio 1971. Esso si riferisce all'omicidio della ventiseienne Simonetta Ferrero perpetrato da ignoti in un bagno femminile dell'edificio dell'Università Cattolica di Milano.
Nonostante le varie ipotesi investigative formulate dagli inquirenti (non escluso quelle di un omicida seriale che collegherebbe tale morte ad altre avvenute a Milano), il caso è rimasto insoluto.
Il delitto
Simonetta Ferrero, nata il 2 aprile 1945 da famiglia benestante piemontese, era laureata in Scienze politiche alla Cattolica e risiedeva con la famiglia a Milano, dove il padre lavorava presso la Montedison, azienda presso la quale la stessa Simonetta era stata assunta dopo la laurea per essere assegnata alla selezione del personale nella sede di piazzale Cadorna.
La mattina in cui fu uccisa, un sabato, Simonetta uscì intorno alle 10:20 dall'abitazione di famiglia in via Osoppo per sbrigare alcune commissioni in quanto la sera stessa sarebbe dovuta partire per la Corsica in vacanza con i genitori; si recò con il tram 15 (il cui biglietto fu ritrovato nella sua borsetta dalla polizia) in una tappezzeria in via Luini e, a seguire, presso una profumeria in corso Vercelli dove acquistò un fermaglio e, infine, una libreria nei pressi dell'università Cattolica, dove acquistò un dizionario italiano-francese; l'ultima persona a vederla in vita fu Pietro Signorini, titolare della libreria dove, poco dopo le 11, Ferrero acquistò il dizionario. Non registrabili le sue ultime mosse: i due bidelli di servizio quel giorno all'ingresso della Cattolica, in largo Agostino Gemelli, non la videro entrare. Ignoti anche i motivi per cui quel giorno sarebbe entrata nei locali dell'ateneo; si suppose all'epoca che la giovane donna avesse intenzione di acquistare alcuni testi universitari ma che avesse trovato chiusa la libreria. Invece di tornare indietro, salì all'ammezzato per recarsi a un bagno femminile dove fu aggredita e uccisa da un ignoto omicida.
La mattina di lunedì 26 luglio, alle ore 9 circa, un seminarista ventunenne di Mogliano Veneto, iscritto alla facoltà di filosofia nell'ateneo cattolico, Mario Toso (oggi vescovo e docente universitario), dopo aver partecipato in università alla messa delle 8 stava recandosi alla segreteria degli istituti religiosi tramite le scale del blocco G, il più distante dall'entrata di largo Gemelli. La sua attenzione fu richiamata dallo scrosciare ininterrotto dell'acqua proveniente dal bagno delle donne. Toso riferì agli inquirenti che la circostanza lo aveva contrariato perché, deputato alla gestione dell'ordine dei bagni e delle camerate nel suo seminario, vedeva la cosa come uno spreco e ciò lo indusse quindi a entrare nel bagno per chiudere il rubinetto. Una volta entrato scoprì il corpo pugnalato di Simonetta Ferrero.
La salma, il cui riconoscimento fu affidato a due lontani parenti, perché il padre della ragazza fu colpito da due infarti e la madre ebbe un collasso una volta appresa la notizia, presentava 33 ferite di arma da taglio e sette di esse furono ritenute mortali. Il corpo era vestito, steso su un fianco in una pozza di sangue e con la borsa ancora indosso, privo di segni che indicassero violenza sessuale e con ferite sulle mani che suggerivano disperati tentativi di difesa messi in atto dalla vittima.
Indagini
Secondo la prima ipotesi formulata dagli inquirenti, la vittima si sarebbe recata in bagno in un luogo a lei familiare per semplici esigenze fisiologiche, ma stranamente si diresse verso i bagni del blocco G, anziché quello vicino all'ingresso dell'Università: la seconda ipotesi fu che la donna si fosse diretta alla Cattolica per fare un favore a un'amica recuperando degli appunti per un esame. Pochi giorni dopo il ritrovamento, gli appunti furono trovati sulla scrivania della Ferrero. Peraltro, fra i primi sospettati ci fu lo stesso seminarista che aveva trovato il corpo ma la pista venne abbandonata presto. Queste furono le domande verbalizzate dall'avvocato difensore di Mario Toso:
«Perché il mio assistito avrebbe dovuto tornare sul luogo del delitto? Dove sono i vestiti macchiati di sangue, visto che oggi Toso indossa gli stessi abiti che aveva sabato? Perché avrebbe dovuto aggredire una ragazza che non conosceva e non aveva mai incrociato? Ma soprattutto, dove sono le ferite e i graffi che, secondo i rilevamenti della scientifica, l'assassino si è procurato?»
Poco prima della scomparsa la commessa di una profumeria, dove si era recata la vittima, ricordò di aver notato una Fiat 500 bianca accostata al marciapiede di fronte al negozio, ma non seppe dire se a bordo vi fosse qualcuno che aspettava Simonetta e se all'uscita la ragazza salì su quella macchina oppure proseguì a piedi.
Inoltre nell'Università in quel periodo lavoravano alcuni muratori che utilizzavano dei martelli pneumatici ma che, ascoltati in commissariato, risultarono estranei ai fatti. Di conseguenza l'assassino aveva sfruttato o il rumore provocato dai lavori o la pausa pranzo quando l'Università era deserta.
Era da escludere lo scopo di rapina, dato che nella sua borsetta vennero trovate sia lire che franchi francesi e alla vittima non erano stati sottratti neppure alcuni gioielli di valore che indossava, ma rimane in forse il tentativo di violenza sessuale che verrà poi esclusa dall'autopsia. Fu ipotizzato che un possibile movente fosse da ricollegare alla mancata assunzione di qualche laureato alla Montedison, ma la pista fu scartata in seguito alle indagini.
Il 28 luglio fu eseguita l'autopsia presso l'Istituto di Medicina Legale e delle Assicurazioni da parte dei professori Guglielmo Falzi e Giuseppe Basile: si constatò che le pugnalate erano state trentatré, tutte inferte con un coltello ben affilato a lama lunga; ventisette su trentatré colpi erano entrati in profondità, colpendo numerose volte il torace e l'addome e con esso gli organi vitali e sette erano risultati mortali, uno dei quali aveva reciso in due la carotide. Inoltre erano presenti altre ferite sulle mani, usate evidentemente per difendersi e alla schiena e fu confermata l'assenza di violenza sessuale.
l 29 luglio, nella chiesa di San Protaso, a piazzale Brescia, si svolsero i funerali della Ferrero celebrati dallo zio monsignore Carlo Ferrero, al quale presenziarono molte crocerossine, studenti della Cattolica e colleghi di lavoro. Le indagini non si fermarono e si allargarono alla provincia seguendo le segnalazioni di alcuni uomini che avevano importunato altre ragazze all'università, ma senza esito. Il 2 agosto gli inquirenti conclusero che l'assassino aveva avuto tutto il tempo necessario per cambiare abito, lavarsi dal sangue della vittima e lasciare l'università deserta. Il 4 agosto furono trovati nella Cattolica un fazzoletto, uno straccio e un indumento blu.
L'assassino ha potuto contare su molti elementi a suo favore: l'Università all'ora di pranzo era quasi deserta, si stavano svolgendo rumorosi lavori di ristrutturazione molto vicini ai bagni; forse aveva già incontrato Simonetta di nascosto, la conosceva oppure l'aveva seguita.
Ipotesi Serial Killer
Il tempo non aiuta. Oppure sì e anzi diverrà decisivo, amalgamando i raffinati progressi dell’investigazione e sovvertendo la fin qui fantomatica figura di un «mostro di Milano», fonte ispiratrice di romanzieri, pensiero ricorrente di sbirri in pensione, pagina studiata dagli storici. Fantomatica figura forse soltanto in conseguenza del fatto che lui, l’assassino, è (stato) irreperibile.
Gli anni del terrore
Cinquant’anni dal primo di cinque omicidi, tutti di donne e tutti irrisolti, più altri due antecedenti a metà dei Sessanta e forse connessi proprio a uno dei cinque. Casi eclatanti, mediatici fin dall’inizio, e casi meno noti avvenuti in stagioni di terrorismo, quotidianità aggressive, sequestri di persona, guerre dei clan criminali: le uccisioni di Simonetta Ferrero, dell’affittacamere Adele Margherita Dossena, della commessa Salvina Rota, della stilista Valentina Masneri, della prostituta Tiziana Moscadelli la cui fine ha spinto il dottor Franco Posa, criminologo, a esplorare anche le uccisioni di Olimpia Drusin ed Elisa Casarotto, ugualmente prostitute, trucidate nel 1963 e nel 1964.
Ladri e bische nella casbah
Al civico 18 di via Copernico, Adele Margherita Dossena gestiva una pensione. Otto camere prezzi accessibili, frequente ricambio di ospiti, per lo più impiegati e universitari, in una struttura di ordine, pulizia, pagamenti puntuali. A 55 anni, separata, Adele Margherita era mamma di due figlie, Ermide che avrebbe aperto un negozio di parrucchiera al quartiere Lorenteggio e l’altra, Maria, in famiglia detta «Mariuccia:» la futura attrice della commedia all’italiana Agostina Belli, che invano investì i guadagni dei film assumendo investigatori privati. Delitto senza colpevole. Donna esperta, Adele Margherita non custodiva nel piccolo appartamento dal quale governava la pensione, somme di denaro. Chi la uccise, il 16 febbraio 1970 colpendola con un coltello alle spalle, proseguendo sul resto del corpo, infine sgozzandola, rovistò nell’alloggio o finse di farlo volendo inscenare una rapina. L’assenza di testimoni non orientò le indagini. L’evidente difficoltà della caccia evocò un’insondabile doppia vita. Adele Margherita non l’aveva. E non l’ aveva Valentina Masneri, stilista, sposata senza figli, trucidata, di nuovo a coltellate e sempre inferte alle spalle, nell’elegante abitazione di
via Settala 57. Alle 17.55 del 18 marzo 1975, Valentina sarebbe dovuta salire a Linate su un volo per Francoforte. La aspettavano clienti ai quali mostrare bozzetti di vestiti. Il cadavere giaceva in salotto, sul tappeto, in mezzo a due poltrone. Il quartiere era una casbah di ladri e biscazzieri; la densità di bettole garantiva rifugi. Dai quattro locali e mezzo di via Settala scomparve un orologio d’oro della 25enne Valentina la quale, in ciabatte, aveva aperto la porta all’aggressore. Il marito, un grafico, che l’aveva salutata poco prima tornando al lavoro, attaccò le forze dell’ordine colpevoli, a suo dire, di trascuratezza. La scientifica isolò un bottone da cappotto maschile e il tacco di una scarpa, più un capello biondo, non appartenente a Valentina, e forse caduto dalla chioma di un’amica. L’ipotesi di una donna killer tenne fino alla mancanza totale e definitiva di riscontri.
Salvina Rota morì il 16 giugno 1971, intorno a mezzanotte, seviziata con una lima e strangolata. Viveva in via Tonale al 4, dov’era tornata dopo il turno di lavoro da cassiera in un supermercato di largo Alpini. La sera di quel giorno, la 22enne Salvina aveva incontrato un’amica, Teresa, cameriera, che era rincasata in taxi (resoconto mai provato, un disperato appello della Procura affinché quel conducente si presentasse cadde nel vuoto). Si vociferò di un’assassina «esplorando» proprio Teresa, con cui la vittima nei mesi precedenti aveva condiviso l’amante, un ferroviere sospettato ma lontano da via Tonale e con un alibi considerato solido nel momento dell’omicidio. Anche il fascicolo di Salvina Rota fu chiuso senza colpevole.
Segreti di Stato e sfruttatori
Un serial killer può colpire vicino alla propria abitazione, in una zona da lui intesa alla guisa di esclusivo territorio di caccia di un predatore, oppure lontano dalla residenza per diminuire le possibilità di un’immediata collocazione. Lo scenario rappresentato coincide con il secondo volendo includere il delitto della Cattolica, delitto di cui sono ancora in vita protagonisti come l’allora seminarista, adesso vescovo, che scoprì nel bagno il corpo di Simonetta, devastata il 24 luglio 1971 da 33 pugnalate. L’incarico del padre, dirigente della Montedison, allargò le indagini su ipotetiche trame e segreti professionali e stituzionali, una pista infeconda al pari delle suggestioni a posteriori correlate alla longeva amicizia tra Valentina Masneri e il figlio di Michele Sindona.
Caso più agevole quello di Tiziana Moscadelli. In apparenza. Da maggiorenne Tiziana aveva lasciato la casa di famiglia, in via Voghera, trasferendosi in due stanze senza bagno al 58 di via Tertulliano
condivise con «Lola», all’anagrafe Salvatore De Natale. Come il travestito, la 20enne Tiziana si prostituiva nella cosiddetta «fossa dei leoni», tra la stazione Cadorna e il parco Sempione, dove in tanti solevano aggirarsi per importunare e spiare, compreso tale «Federico il pazzo». Conosciutissimo dagli sbirri, era stato fermato con l’accusa d’aver ucciso lui la ragazza, il 12 febbraio 1976. Tiziana, che rifiutava gli sfruttatori, assassinata con un coltello e l’aggiunta di un cacciavite, non si vendeva in casa, e mai si sarebbe portata a domicilio il «pazzo». Preferiva stare lontano, come la 45enne Olimpia Drusin, pugnalata nel quartiere di Greco nel 1963 e residente a ridosso del parco Sempione, e come la 29enne Elisabetta Casarotto, massacrata l’anno dopo sempre a pugnalate a Lacchiarella, a sud di Milano, che abitava in via Sercognani, quartiere di Villapizzone.
condivise con «Lola», all’anagrafe Salvatore De Natale. Come il travestito, la 20enne Tiziana si prostituiva nella cosiddetta «fossa dei leoni», tra la stazione Cadorna e il parco Sempione, dove in tanti solevano aggirarsi per importunare e spiare, compreso tale «Federico il pazzo». Conosciutissimo dagli sbirri, era stato fermato con l’accusa d’aver ucciso lui la ragazza, il 12 febbraio 1976. Tiziana, che rifiutava gli sfruttatori, assassinata con un coltello e l’aggiunta di un cacciavite, non si vendeva in casa, e mai si sarebbe portata a domicilio il «pazzo». Preferiva stare lontano, come la 45enne Olimpia Drusin, pugnalata nel quartiere di Greco nel 1963 e residente a ridosso del parco Sempione, e come la 29enne Elisabetta Casarotto, massacrata l’anno dopo sempre a pugnalate a Lacchiarella, a sud di Milano, che abitava in via Sercognani, quartiere di Villapizzone.
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